Gelosia. Spyware nello smartphone della moglie. Condannato

Gelosia. Spyware nello smartphone della moglie. Condannato
Stefano Pipitone

Il cellulare della moglie infettato con uno spy software. È reato.
(Corte di Cassazione-Sez. V Penale-sent. n.15071 5.04.2019)

Un tempo erano i diari.
Oggi il tema è evoluto sino ai software spia. Ed è di grande attualità.

Il codice penale italiano punisce, con il reato previsto dall’art. 617bis c.p., la condotta di colui che installa apparati al fine di intercettare/interrompere comunicazioni e conversazioni.
La pena prevista oscilla in una forbice tra uno e quattro anni di reclusione, a seconda della gravità dei fatti accertati.

Questo reato è stato introdotto nel nostro sistema penale nel lontano 1974, in occasione dell’approvazione della Legge n. 98/1974 sulla riservatezza, libertà e segretezza delle comunicazioni.
Com’è facile intuire, nel 1974 le forme di intercettazione di cui si discuteva in Parlamento erano ben diverse e lontane dagli strumenti attuali.
Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha risposto alla seguente domanda: gli attuali spy-software possono rientrare nel concetto giuridico di “intercettazioni” prese in considerazione dall’art. 617bis c.p.?

La risposta è Si.

La questione giuridica trae spunto dalla condotta di un marito particolarmente geloso, il quale aveva installato un malware nel tablet e nello smartphone della moglie.

Ebbene, la Corte di Cassazione – Sez. V Penale- con l’ultima sentenza pronunciata sul tema, la n. 15071 del 5 aprile 2019, ha riposto al quesito, risolvendo ogni dubbio.

Dopo un breve richiamo ai precedenti giurisprudenziali sull’argomento, (per un quadro ampio e completo si consiglia di leggere la pronuncia a Sezioni Unite –Scurato n. 26889, del 28.04.2016, Rv 266905), la Cassazione ha ribadito come il nostro Codice Penale tuteli con severità il bene della libertà di comunicazione, di rango costituzionale, sanzionando duramente tutte quelle attività preparatorie all’intercettazione.

Con il reato ex art. 617 bis c.p. infatti, la soglia di punizione è anticipata rispetto alla intercettazione di comunicazione vera e propria.
In altri termini, configura reato già la semplice installazione del software spia.
Ed a nulla vale se poi il programma non dovesse mai essere attivato o non viene intercettato nulla.

Ciò perché l’intercettazione, in quanto, tale viene considerata dalla giurisprudenza un post factum rispetto al reato di cui all’art. 617 bis c.p., cioè un fatto successivo ed ulteriore rispetto alla installazione fraudolenta degli strumenti di intercettazione, (cd. captatori informatici).
Per completezza, è bene ricordare che, a fortiori, l’azione di intercettazione in senso stretto configura un reato autonomo.

La Corte di Cassazione, dopo aver chiarito l’indirizzo interpretativo in tema di installazione illecita di sistemi di captazione informatica, ha così rigettato il ricorso proposto, confermando la condanna ai danni del marito geloso, cui si aggiunge il conseguente risarcimento dei danni in favore della moglie.