
Con una pronuncia storica, la Suprema Corte afferma l’equivalenza di medicine omeopatiche e allopatiche ai fini del reato di commercio o somministrazione di medicinali guasti.
Con la sentenza n. 35627/2019 la Cassazione – Sez. I Penale – ha condannato il titolare di una farmacia ritenuto responsabile del delitto di Commercio o Somministrazione di medicinali guasti, ex art. 443 c.p. per aver venduto ad un cliente un farmaco omeopatico scaduto e per aver aver detenuto in magazzino oltre 194 medicine scadute, (metà delle quali omeopatiche).
La difesa del farmacista è stata basata sulla non assimilabilità delle medicine omeopatiche ai medicinali (allopatici).
Nel dettaglio, il titolare della farmacia si è difeso sostenendo che i farmaci oggetto del processo, in quanto omeopatici, non avrebbero efficacia terapeutica e che pertanto la condotta di commercio o somministrazione non fosse idonea a configurare l’elemento oggettivo del reato di cui art. 443 c.p. ,(incentrato sul concetto di medicinale imperfetto), né, tantomeno, era configurabile il diverso reato di cui all’art 453 c.p. (delitti colposi contro la salute pubblica).
La Corte di Cassazione non ha accolto la tesi difensiva.
Sul punto, infatti, i Giudici della S.C. hanno affermato con estrema chiarezza come “non è minimamente dubitabile la riconducibilità del farmaco omeopatico al concetto di medicinale, stante l’ampia definizione allo scopo fornita dal Decreto Legislativo n. 219 del 2006, articolo 1, comma 1, lettera a), che vi include “ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane”, (punto 1 della disposizione), nonché “ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica“.
Dal punto di vista legislativo, la sentenza evidenzia come anche l’Europa sia intervenuta sul tema, adottando una Direttiva Europea (n. 2001/83/CE) con cui è stato specificato come il codice comunitario, che ricomprende i medicinali per uso umano, preveda al proprio interno anche i prodotti omeopatici. Questi infatti sono sottoposti ad una specifica procedura di registrazione, al rispetto di standard di sicurezza e – come regola- a farmaco vigilanza.
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Con queste premesse, inquadrando i fatti del processo all’interno della cornice normativa vigente, la Cassazione ha deciso di confermare il contenuto della condanna comminata al farmacista, affermando che: “anche il farmaco omeopatico scaduto costituisce un “medicinale imperfetto” ai fini del reato previsto dall’art. 443 c.p.“.
In sintesi, agli effetti della legge penale, il farmaco omeopatico viene equiparato ad un medicinale.
La sentenza è interessante anche per altri profili affrontai in motivazione, relativi alla organizzazione delle farmacie ed alla rilevanza di carenze organizzative sul profilo dell’elemento psicologico del reato.
La tesi difensiva sostenuta contestava l’assenza di dolo nei fatti accertati in capo al titolare della farmacia, giustificando la presenza di 194 medicinali scaduti in magazzino come una semplice carenza di organizzazione di carattere colposo, non idonea ad integrare il dolo richiesto invece dalla norma incriminatrice dell’art. 443 c.p.
Anche questa argomentazione difensiva non ha convinto i Giudici della S.C.
Sul punto, infatti, la Cassazione ha precisato come il reato in questione sia punito a titolo di dolo generico.
Nello specifico, il requisito del dolo del reato di Commercio o Somministrazione di medicinali guasti è configurato dalla consapevole detenzione per il commercio di medicinali scaduti o imperfetti, la cui prova può avvenire attraverso il riscontro di indici esterni, sintomatici della consapevolezza del soggetto agente.
Ebbene, in base alle circostanze probatorie emerse nel processo, la riscontrata disorganizzazione della farmacia non è poteva essere interpretata come mera negligenza o disattenzione.
Al contrario, le modalità organizzative carenti e la generale trascuratezza degli specifici doveri professionali, sono stati valutati quali indici rivelatori di un atteggiamento di assoluta indifferenza del titolare della farmacia. Propria questa indifferenza alla disorganizzazione della farmacia rendeva prevedibile e probabile la commercializzazione di medicinali scaduti.
Pertanto, in merito all’elemento soggettivo del reato, le prove del processo hanno consentito di ritenere provato il cd. dolo eventuale, cioè l’accettazione del rischio di verificazione dell’evento giuridico previsto dalla norma incriminatrice, (ovverosia il commercio o la detenzione di farmaci scaduti).
Da ultimo, nella sentenza la Suprema Corte ha espressamente escluso che il caso potesse essere ricondotto nella neo introdotta, e più lieve, sanzione amministrativa pecuniaria di ‘detenzione di medicinali scaduti, guasti o imperfetti“, varata con la Legge n. 3 del 11 novembre 2018.
Nel richiamato intervento legislativo, infatti, è stata prevista una causa di esclusione della punibilità dal reato di “Commercio o Somministrazione di medicinali guasti”, (e dall’ipotesi di “Delitti colposi contro la salute” ex art. 452 c.p.), in tutti i casi in cui risulti, in relazione alla modesta quantità di tali medicinali, alle modalità di conservazione e all’ammontare complessivo delle riserve, che si possa concretamente escludere la destinazione al commercio degli stessi.
La tesi non ha convinto tuttavia i Giudici, che hanno giudicato i fatti come gravi e pienamente ascrivibili al reato originariamente contestato.
La Corte di Cassazione ha così confermato la sentenza di condanna, affermando il principio secondo cui integra il reato di “Commercio o somministrazione di medicinali guasti” previsto dall’art 443 c.p. anche la detenzione e commercializzazione di un farmaco omeopatico scaduto.